Banchi fuori misura

Blog

«Orlando: cinquantadue anni ben portati (a dire degli altri), un matrimonio fallito alle spalle e due figli cresciuti da solo». E’ con la sua storia, narrata in prima persona, che si apre il libro. La storia di un cronico senso di inadeguatezza che sfocia in una vera depressione a seguito di una relazione finita male, e lo porta così sul lettino della strizzacervelli, l’autrice del libro, appunto. Orlando si aspetta un’analisi del profondo, e rimane stupito quando la strizzacervelli anziché indagare il rapporto con la madre e il complesso di Edipo comincia a porgli domande sul suo percorso scolastico. Ma noi riconosciamo negli altri ciò che conosciamo in noi stessi, e l’autrice, ella stessa con un disturbo specifico dell’apprendimento (DSA) ha colto nel segno. Portato a diagnosi Orlando si rivela severamente dislessico e disortografico. Ecco che tutte le sue difficoltà prendono un nome, ecco l’origine del suo drammatico senso di inadeguatezza, ecco riemerge il trauma rimosso: sono le umiliazioni, le derisioni, i castighi vissuti negli anni della scuola. E peggio di tutto: la sensazione di essere lui il colpevole; sensazione che ora, alla luce della diagnosi, è libera di dissolversi. Il percorso terapeutico è concluso, ma il caso di Orlando dà il là a una ricerca più ampia in cui egli stesso viene coinvolto: la strizzacervelli, discalculica, avrebbe raccolto i casi e lui, dislessico ma “un genio nei fatti numerici” avrebbe tradotto il tutto in numeri e grafici (“insieme ne facciamo uno buono!” commenta ironica l’autrice). Scopo della ricerca individuare una correlazione tra alcuni indici di disturbo psichico, quali i vissuti di inadeguatezza, la dipendenza affettiva ma anche, in casi più gravi, l’abuso di sostanze e le condotte antisociali, e un quadro di DSA non riconosciuto che ha reso traumatici gli anni della scuola. Vengono così alla luce una serie di storie incredibili: da Amelia, che si sente inadeguata al punto da leggere sotto quest’ottica anche la sua difficoltà a rimanere incinta, ad Elda, giovane donna dalle grandi capacità intellettive e autoriflessive che la crudeltà mentale di qualcuno arriva a spingere a pensieri suicidari e che ci mostra come un DSA possa celarsi anche dietro percorsi scolastici brillanti; da Alessandro, ragazzo di diciotto anni pieno di odio che respinge chiunque con la stessa forza con cui si sente respinto, a Giacomo, continuamente sanzionato dai docenti per i suoi comportamenti oppositivi: e qui emerge un’ulteriore correlazione, quella tra rabbia e QI, più elevato è quest’ultimo più grande è la rabbia, più è potente l’esemplare, maggiormente risentirsi della coercizione: E’ nota a tutti la ferocia dei grandi cani tenuti alla catena.

Ci sono storie scioccanti, come quella di Lucia, bambina vivace e oppositiva che viene picchiata selvaggiamente e chiusa per ore nei bagni dell’istituto da una suora che avrebbe dovuto farle da insegnante, e altre più incoraggianti, come quella di Jaya, la nipote dell’autrice che, sospettata dislessica al tempo dell’asilo, arriva a compensare il disturbo e ad eccellere negli studi venendo descritta come un “leader in positivo”: dimostrazione, quest’ultimo caso, che un DSA riconosciuto tempestivamente non deve necessariamente portare ad esiti traumatici.

Nel finale il libro si apre ad una riflessione più ampia sul ruolo della scuola, sull’idea di inclusione che accoglie il diverso contrapposta all’integrazione che mira ad omologarlo; sul piacere di conoscere, scoprire, inventare; sui concetti di gratuità e di reciprocità.

Molti tra i soggetti testati mostravano talenti eccezionali mai coltivati perché considerati poco funzionali in una società tutta improntata ai valori della competitività e dell’efficienza. Ma, ci spinge a riflettere l’autrice, quale efficienza può avere qualcuno che alla fine perde se stesso e il suo piacere per la vita? Quale costo elevato rappresenta per la società qualcuno che, non potendo esprimersi, si ammala del mal di vivere? Perché, infine, suggerisce con ottimismo l’autrice, forse basterebbe un po’ buon senso. Basterebbe l’ascolto dell’altro, il riconoscimento della sua unicità, e del suo essere prezioso in quanto unico. E questa ricerca costituisce un passo nella direzione giusta.

Leave a Comment

X